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Tutte le grane di Meloni

Che fare il premier fosse stressante lo sapeva, ora la Meloni dovrà dimostrare di saper gestire la pressione senza cedere a ulteriori figuracce–cioè smettendola di evitare il confronto, con forze politiche, corpi intermedi e media. È forse il momento più difficile del suo ancora acerbo mandato, tolto Cutro su cui peggio era difficile fare.

Tutte le grane di Meloni: gli attacchi d’Oltralpe, il nemico interno, il vicino africano.

La giornata di ieri si è conclusa dopo una girandola di avvenimenti particolarmente convulsa in modo molto negativo per Giorgia Meloni, che dal CdM esce a mani vuote ed è costretta a prendere tempo, mentre dall’incontro a Palazzo Chigi con il Gen. Haftar esce per scoprire d’essere finita nel mirino dei cugini d’Oltralpe.

Il tempismo delle dichiarazioni aggressive di Gerard Darmanin, un vero e proprio sfogo infantile del Ministro dell’Interno francese contro la Meloni, segnala che l’incontro è stato percepito come un guanto di sfida. La Francia accampa ancora diritti di precedenza nell’area interessata e guarda con sospetto–anzi con aperto ostracismo alle manovre del governo italiano in Libia, Tunisia, Algeria ecc.

Alla situazione in Libia e in Tunisia abbiamo dedicato lunghe serie di articoli e sebbene il quadro della situazione sia in continuo sviluppo il dato centrale–relativo cioè alle partenze dei migranti–rimane inalterato, nel senso che continua a crescere a ritmo spedito.

300% in più anno su anno: se fosse accaduto con il governo precedente Salvini si sarebbe fatto incatenare alle porte dell’hotspot di Lampedusa. Chiaramente, l’esecutivo guidato da Giorgia non può permettersi questi numeri dopo la campagna martellante di questi ultimi anni.

Da qui, il tentativo di mediazione direttamente con il comandante delle forze che controllano la parte orientale dello Stato libico, la Cirenaica, personaggio legato direttamente a Putin e che non è considerato dalla Comunità Occidentale un interlocutore affidabile; nondimeno è impossibile negarne l’importanza sullo scacchiere. In breve, l’accordo è soldi in cambio di un aiuto nel fermare le partenze, modus operandi che l’Italia utilizza almeno dai tempi di Renzi e Minniti e che finora ha prodotto zero.

In compenso il gelo con Parigi produce un duplice distanziamento: annullata la visita di Tajani con l’omologa Colonna salta anche la cena di Meloni con Macron cui le cancellerie di Stato stavano lavorando alacremente da mesi.

E questo per quanto attiene alla politica estera.

Sul fronte interno, invece, Salvini fa la voce grossa in CdM e la premier interviene

Dopo l’imprevisto mattutino legato alle bizze dell’Eliseo, in quanto l’attacco alla Presidente del Consiglio arriva sicuramente su indicazione di Macron, l’agenda della Premier la costringe al tavolo con gli alleati: prima le nomine in CdM per quanto concerne la scelta di un nuovo comandante a capo di Guardia di Finanza e Polizia dello Stato, poi quelle–virtuali–a riguardo di Ferrovie dello Stato.

L’attuale capo della GdF, Giuseppe Zafarana, passerà alla guida di ENI tra pochi giorni per cui la contingenza imporrebbe una certa rapidità di manovra: lo scontro vede contrapposti il Ministro dell’Economia Giorgetti (Lega), cui spetta l’onere della proposta, ed il sottosegretario alla Presidenza, Mantovano (indipendente ma scelto da Meloni). Quest’ultimo supporta la candidatura di Andrea De Gennaro, numero 2 delle Fiamme Gialle e fratello dell’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro; per contro il ministro vorrebbe promuovere il comandante dei reparti speciali il Generale Umberto Sirico. Tertius gaudens potrebbe essere il comandante interregionale dell’Italia Centrale Bruno Burrati.

Ai vertici della Polizia non si registra la stessa impellente urgenza di avvicendamento, dal momento che il comandante in capo Lamberto Giannini non è ancora giunto al termine del mandato: nondimeno, fatto 30 perché non fare 31 si domandano in molti? Ed ecco che spunta il nome di Vittorio Pisani, amico di Salvini e vice-comandante dell’Agenzia per l’Informazione e la Sicurezza Interna (AISI).

Al momento come detto è tutto in stallo, l’unico nodo sciolto nella riunione di ieri riguarda il provvedimento che permette il trasferimento di Carlo Fuortes al San Carlo di Napoli aprendo il capitolo RAI su cui ora il governo avrà mano libera.

Stallo anche per quanto concerne le nomine nelle controllate di FS, vale a dire Trenitalia e RFI (Rete Ferroviaria Italiana): e qui il braccio di ferro con il Capitano s’intensifica. Perché de iure la competenza in materia pertiene al Ministro delle Infrastrutture, che vorrebbe a capo di RFI–cui arriverà una pioggia di liquidità dal PNRR da spendere tassativamente entro il 2026–l’ex ad di Ansaldo Sts Stefano Siragusa mentre per Trenitalia la partita è più semplice e potrebbe darsi la riconferma di Luigi Corradi.

La Meloni, dal canto suo, non gradisce l’attivismo del leghista e, ancora piccata per aver ceduto sul fronte ENEL alle pressioni degli alleati che hanno determinato la scelta controversa di Starace in presidenza e Catteneo al braccio operativo, impone lo stallo avanzando il nome di Gianpiero Strisciuglio, attuale ad di Mercitalia Logistic, spalleggiato anche dal Ministro agli Affari Europei, Raffaele Fitto, uomo chiave per l’esecuzione del piano nazionale di ripresa e resilienza.

Conclusione: Meloni, quanti fronti aperti!

La prima donna a capo del Governo italiano si trova a fare i conti con più questioni irrisolte, sotto il fuoco nemico su una linea di contatto quantomai estesa: tanto potere tante responsabilità tanti doveri, a partire dalla gestione dei fondi per il PNRR su cui il governo è in ritardo, che richiede unità di intenti e coesione nella maggioranza, altro fronte aperto e al momento scottante. La stretta nella morsa dei migranti spinge la premier populista a trattare con le forze irregolari appoggiate da Putin, in un momento storico in cui è fondamentale mantenere l’orientamento atlantista e allontanare i sospetti che aleggiano sugli alleati di governo, i cui interessi in Russia sono noti da lungo tempo.

Infine, la prova di forza con la Francia non può portare a nulla di positivo: il laissez-faire transalpino è nullaosta necessario per la realizzazione di quel “piano Mattei” cui dipendono buona parte delle speranze di sopravvivenza dell’esecutivo, vista la presenza francese nei territori interessati (Tunisia e Algeria in primis), così come anche per l’elargizione dei fondi europei per il PNRR.

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Editor: Giulio Montagner

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